Avrò avuto tre o quattro anni. Ero sdraiata sulla poltrona del salotto, capovolta, con la testa che ciondolava oltre il bordo della seduta. Nella noia di una calda mattina d’estate, fissavo il pulviscolo atmosferico che si muoveva all’interno del cono di luce creato da un raggio solare che filtrava attraverso le imposte parzialmente oscurate. Fu lì che mi domandai per la prima volta, seguendo il percorso di quei minuscoli puntini lungo il soffitto: “Chi sono?”
E mi ritrovai catapultata in una dimensione in cui non esisteva né spazio né tempo, tutto era consapevolezza, e una tra tutte: sono un’Anima che abita un corpo.
Professione ai sensi della legge 4/2013